REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA. I CAMPI DI PRIGIONIA IN ITALIA                    


OLTRAGGIO A COLTANO
Quando la memoria fa paura.
Alessandra Colla
 
 
    Alla fine di aprile del 1945, mentre l'Europa bruciava l'Italia conosceva i momenti più bui della sua storia millenaria, i liberatori americani si premuravano di costruire un ennesimo campo di prigionia in quella bella terra di Toscana allora insanguinata dalla fine di un'epoca. Il primo campo di concentramento per prigionieri di guerra in Toscana fu il PWE 334, a Scandicci (Firenze).  Il PWE 339 sorse a San Rossore; i PWE 336, 337 e 338 vennero allestiti nella tenuta di Coltano (Pisa).  Erano tutti destinati ad ospitare prigionieri militari tedeschi e italiani, appartenenti alle FFAA e ad altre formazioni militari della RSI. Il PWE 337, però, si distinse subito per l'eccezionale durezza delle condizioni di vita imposte dai vincitori.  Condizioni di vita: ma dovremmo dire piuttosto di mera sopravvivenza, ai limiti del più elementare istinto di conservazione. Furono troppi quelli che non ce la fecero. Ecco, al riguardo quanto dice Pietro Ciabattini, che in quel campo fu internato: «Il 25 luglio 1945 tutti i prigionieri italiani concentrati nei vari PWE in Toscana erano già stati fatti affluire nel PWE 337, più conosciuto come "campo di Coltano". «La sua triste esistenza fu taciuta all'opinione pubblica fino a metà settembre del 1945, dopo che gli americani il 30 agosto avevano trasferito alle autorità italiane la giurisdizione su quel campo di prigionia. «Solo allora la stampa italiana si interessò di ciò che avveniva dietro quei reticolati in quella torrida pianura pisana, descrivendo la misera esistenza di migliaia di esseri umani, scalzi, nudi, laceri, malati e bisognosi di tutto, senza che nessuna autorità si decidesse ad addivenire ad una rapida soluzione del problema.  Descrivere la disgraziata vita del PWE 337 è compito arduo nel timore di non essere creduto, ma più arduo è riuscire a convincere che ciò accadde davvero a prigionieri di guerra di un esercito ricco e vittorioso, e a conflitto ormai cessato. [...] I giornali si sbizzarrirono per una settimana a scrivere sulla drammatica vicenda di quei prigionieri, ma dei numerosi e misteriosi decessi per uccisioni, malattie e stenti nessuno ne scrisse una parola.  Molti morirono nei "campi", nel "lazaret", altri nell'Ospedale da Campo n. 99 WQ06, o nel 650 di riserva per militari italiani.  Anche al Sanatorio, all'ospedale Militare di Livorno e al Manicomio di Volterra ci furono numerosi morti, ma i relativi documenti o non sono visibili o non esistono più. «Nessuno, tranne gli archivisti USA, conoscerà mai il numero dei deceduti di Coltano.  Mistero e silenzio anche sui luoghi dove venivano sepolte le salme. [...] E’ certo che, a distanza di cinquant’anni, sui decessi di Coltano, esiste ancora il "top secret" e anche da parte delle autorità preposte non vengono fornite notizie precise» (P. Ciabattini, Coltano 1945.  Un campo di concentramento dimenticato, Mursia, Milano 1995).Parole dure, parole vere: lo stesso discorso si potrebbe applicare a molte altre realtà della seconda guerra mondiale, ugualmente lasciate nell'ombra di una menzogna consapevolmente criminale. Qualcosa, negli ultimi anni, si è mosso: un'aria diversa, un atteggiamento di maggiore apertura, la voglia di guardare con occhi nuovi a un passato non poi così vecchio... O così sembrava.  Tant'è che finalmente, dopo anni di impegno da parte dei reduci di Coltano, quest'anno si è riusciti a consacrare quel terreno maledetto da tante famiglie edificandovi un "Campo della Memoria": il 22 settembre 1996 -lo annunciavamo anche noi nel numero 16 di questa rivista- si svolgeva la cerimonia di inaugurazione del Campo (di cui si vede un'immagine alla pagina precedente). Quello che è accaduto subito dopo il 22 settembre, è documentato nelle altre foto di queste pagine: i monumenti lordati, ricoperti di scritte ingiuriose, il cippo (che compare nella foto di apertura all'atto dell'inaugurazione) divelto e poi frantumato, nel pomeriggio di sabato 5 ottobre, alle 16, davanti agli occhi della Digos, in aperto oltraggio alle istituzioni.  Autori del discutibile gesto, gli anarchici di "Macchia Nera".  Anarchici?  Difficile pensare che gli eredi di pensatori raffinati come Max Stimer, Proudhon o Michail Bakunin si siano abbandonati a gesti di vandalismo puro e semplice nei confronti della più tradizionale espressione di pietà umana: l'omaggio alla memoria dei morti, dei propri morti. Ma forse la memoria che si voleva onorare a Coltano non era soltanto il ricordo dei tanti italiani che non lasciarono il PWE 337 da vivi. Forse a Coltano si è commesso l'imperdonabile errore di voler resuscitare i fantasmi di un'epoca finita - cosi pare nel 1945: nel nostro mondo di velocità e di inconsistenza, il restare cosi tenacemente attaccati alla concretezza di un tempo e di un'idea appare quasi come una colpa. Può darsi che così stiamo volando troppo alto; può darsi che invece i fatti di Coltano siano soltanto l'ennesima testimonianza di quel degrado morale, culturale, storico ed estetico che da anni sommerge la repubblica italiana.  Inutile interrogarsi sulle cause, prossime o remote, di questo degrado: finiremmo troppo lontano.  E invece vogliamo restare qui, vicini, vicinissimi alla Coltano reale e alle mille Coltano ideali che ancora costellano la storia e la memoria degli italiani. 
 
 
STORIA DEL XX SECOLO N. 18. Novembre 1996. (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)

LA COMMEMORAZIONE DEI CADUTI NEL P.W.E. 337 MANDA IN FIBRILLAZIONE LA QUESTURA DI PISA Ma con i reduci di Coltano la polizia scopre l’efficienza 
Giampiero Cannella
 
 
    COLTANO, un nome,, una località che a molti forse non  dice nulla. Qualche cultore di letteratura, per caso avrà letto che uno scrittore statunitense dal nome originale, Ezra Pound, pagò le sue simpatie per Benito Mussolini scontando la prigionia a Coltano. Una località anonima per molti, ma che per i combattenti alla Rsi ha significato rabbia, amarezza sofferenza, orgoglio, passioni. P.w.e. 337, questa la sigla che contrassegnava il campo di concentramento Usa costruito vicino a Pisa, nel quale vennero rinchiusi migliaia di combattenti di Salò. Dove in molti morirono. Anno dopo anno i sopravvissuti a Coltano, ormai ultra-settantenni carichi di ricordi si recano nella pineta delle Serre, la dove una volta sì estendeva il filo spinato, per non dimenticare. Una cerimonia semplice, sobria, senza enfasi né retorica E’ certamente difficile capire, se non l’hai vissuto, per molti è stata una tragedia. Già, ma come comprendere una tragedia quando si è abituati soltanto alla farsa? Se non l’avessimo letto con i nostri occhi non ci avremmo mai creduto, invece è tutto vero. Un funzionario più che scrupoloso e la Questura di Pisa, proprio un mese fa impone ai reduci di Coltano di firmare quel documento. Un atto, burocraticamente chiamato “verbale di prescrizioni” con il quale si diffidava i partecipanti alla commemorazione da portare sul luogo della cerimonia le loro insegne, le bandiere, i nastrini, le medaglie. Il senso del ridicolo purtroppo non è di tutti e alla Questura di Pisa certamente qualcuno ne difetta. Come spiegare sennò tanta solerzia. Vabbè, avrà pensato il funzionario di PS, che oggi basta andare davanti ad una scuola per trovare spacciatori che impunemente vendono droga, passi che stupri e rapine sono all’ordine del giorno, passi pure che intere regioni italiane sono in mano a Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra, ma le decorazioni, della Rsi, quelle no, eh! Con tutti i problemi che abbiamo ci mancavano anche questi, con i loro nastrini e le loro bandiere. E’ un problema serio, di ordine pubblico, avrà pensato il funzionario della Questura di Pisa. Allora presto, tutti in ufficio, firmate il verbale. Il senso del ridicolo, già. Chissà che cosa avranno pensato loro, carichi di ricordi, i cui nastrini, le cui medaglie significano El Alamein, Tobruk, Nettuno, Don, Selva di Tarnova. Pezzi di stoffa o di metallo si, ma pieni di memoria, ricordi, rimpianti, forse rimorsi. Se non lo avessimo letto, quel verbale, non ci avremmo creduto Ma forse non si tratta di mancanza del senso del ridicolo, c’è dell’altro. Quel funzionario, alla Questura di Pisa ha avuto paura. Paura di un manipolo di ultra-settantenni armati soltanto di ricordi e dalla voglia di non dimenticare chi non ce l’ha fatta? No, ha avuto paura di qualcosa di indefinibile, qualcosa che probabilmente non potrà mai provare: la passione. Si, così senza aggettivi né colore politico. Passione per i vent’anni trascorsi, per un’idea, per una bandiera. Per un amico che non c’è più.
 
 
IL SECOLO D’ITALIA Quotidiano del 19 Ottobre 1997 

A LA SPEZIA LA PROCURA MILITARE INDAGA SULLE ATROCITA' ALLEATE COMMESSE NEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO A COLTANO
 
 
     La notizia che la denuncia di un combattente, prigioniero nel Campo dopo il 25 aprile 1945, abbia finalmente determinato l'interessamento della Procura Militare, ovviamente vede il nostro compiacimento anche se, nel contempo, avvertiamo tanti dubbi sul proseguimento e sulle conclusioni rispettose della verità e della giustizia. Per oltre un cinquantennio nessuno ha voluto scrivere, chiarire, documentare. A tal punto che, ancora oggi, subiscono persecuzioni, divieti e anche distruzioni di lapidi, coloro che appena due anni fa sono riusciti a ricordare proprio sul luogo del campo, le proprie sofferenze patite e le violenze subite. Per parlarne subito anche noi di "Continuità Ideale" potevamo ricorrere alla memoria dei reduci di quel campo ed organizzare qualche "revival" ma, ancora di più celermente abbiamo notato la pronta iniziativa del giornalista Gianni Sarrocco, il quale ha fatto la lodevole citazione delle persecuzioni, come quelle subite con violenze e furti dalle mogli di internati, valendosi della sensibilità del quotidiano "Il Tempo" di Roma. Si tratta di una fonte al di fuori di ogni torrente e, per questo, ci permettiamo di riprodurre il tutto.
LA SPEZIA - Sarà fatta luce sui presunti delitti compiuti dagli Alleati anglo-americani alla fine della seconda guerra mondiale in Italia, ai danni di prigionieri fascisti. La Procura militare della Spezia ha aperto, infatti, un fascicolo sulle presunte «esecuzioni sommarie» commesse dalla 92a Divisione «Buffalo» della Va armata Usa, a cui fu affidato, tra il maggio e il settembre 1945 il campo di concentramento di Coltano, vicino Pisa, in cui furono rinchiusi circa 35mila ex militari della Repubblica di Salò. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale militare della Spezia, Bolla, ha interrogato nelle scorse settimane Pietro Ciabattini, 72 anni, residente a Firenze, che, con la sua denuncia, ha fatto riaprire il caso sui fatti di 53 anni fa. I reati su cui si indaga spaziando dalle violenze aggravate alle illecità delle fucilazioni e alle violazioni delle norme dei prigionieri di guerra della convenzione dell'Aja del 1907.
    In 35mila gli italiani «repubblichini» rinchiusi a Coltano. Tra questi una marea di sconosciuti, ma anche gente nota. Come il poeta americano Ezra Pound, sottoposto al supplizio della «fossa del fachiro», gli attori Walter Chiari, Enrico Maria Salerno, Raimondo Vianello, l'olimpionico di podismo Pino Dordoni. E ancora il giornalista Enrico Ameri, il regista Luciano Salce, il deputato di An Mirko Tremaglia, il senatore di An Giuseppe Turini. E migliaia e migliaia di sconosciuti. Molti dei quali non fecero più ritorno alle loro case. Perché assassinati senza alcun motivo e sepolti di nascosto nel campo sportivo di Castel Fiorentino trasformato in cimitero clandestino. Nel '64 durante una bonifica vennero scoperti i resti di 350 persone, in gran parte senza nome.
    L'inchiesta, come è già stato detto, viene condotta dal Procuratore militare Giovanni Bolla dopo una circostanziata denuncia presentata dal senese Pietro Ciabattini, il quale praticamente ha sollevato il velo di omertà che ha circondato la vicenda per mezzo secolo. Il reduce ha già fornito ai giudici anche una copiosa documentazione e prima di Natale il Ciabattini è stato anche sentito dal magistrato come testimone diretto di numerosi episodi di torture, fucilazioni di massa, violenze gratuite e tutto in violazione della Convenzione dell'Aja sui prigionieri di guerra.
    Tra le torture alle quali furono sottoposti numerosi militari di Salò, la più orribile era la cosiddetta «fossa dei fachiri», supplizio che non venne risparmiato nemmeno al poeta americano Ezra Pound accusato di collaborazionismo. Praticamente in alcune zone del campo di concentramento, che era tutto all'aperto, erano state scavate delle buche, alcune individuali e altre capaci di contenere fino a dieci persone in piedi. Il fondo dei pozzi cosparso di pietre aguzze messe vicinissime le une all'altre, per cui era impossibile infilare i piedi tra di esse. I prigionieri, quindi, erano costretti a poggiare i piedi su queste pietre appuntite, appunto come i fachiri. Punizioni atroci che scattavano per un nonnulla. Bastava non aver salutato un graduato americano e si finiva nella buca. Torture simili, per ironia della sorte, le hanno poi riservate ai prigionieri americani i nordvietnamiti durante la guerra del Vietnam.
 
NUOVA CONTINUITA' IDEALE N. 1-2 Gennaio-Febraio 1999

COLTANO 1945 - UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO DIMENTICATO. PREMESSA
Pietro Ciabattini.
 
 
    Quando le guerre non furono più decise da una o due battaglie o scontri risolutivi, ma si prolungarono nel tempo impegnando sempre più numerose truppe combattenti, dai contendenti fu ritenuto opportuno concentrare i prigionieri catturati in luoghi lontani dalle linee di combattimento, per rendere difficile, all'eventuale fuggitivo, il rientro fra le sue schiere e ritornare così nuovamente a combattere.
    Finché fu possibile i prigionieri furono ammassati in ex conventi, vecchie fortezze, scuole, o comunque in edifici non più in uso, requisiti e di facile sorveglianza.
    In seguito, aumentando notevolmente il loro numero, si resero necessari vasti spazi aperti, attrezzati con baraccamenti e tendopoli, circoscritti da alte barriere di filo spinato, e sorvegliati da numerose torrette di guardia.
    I feriti e gli ammalati avrebbero dovuto essere ricoverati in ospedali o in luoghi adattati al bisogno, ma ciò non era sempre, o quasi mai, possibile. Al fine di rendere eguale il trattamento da riservare ai rispettivi prigionieri, le relative norme furono sancite con un accordo internazionale che, a partire dal 22 agosto 1864, fu conosciuto con il nome di "Convenzione Internazionale di Ginevra(1)", più volte riveduta e corretta nel corso degli anni.
    Tale Convenzione definiva il modus vivendi dei prigionieri di guerra, feriti o sani che fossero, nei luoghi di prigionia, i lavori esigibili dagli stessi e i mezzi da usare per il mantenimento della loro disciplina.
    Preposto al controllo e alla verifica che tale Convenzione fosse rispettata da tutti i contraenti, fu nominato un organismo neutrale chiamato Comité International de la Croix Rouge (CICR), con sede a Ginevra.
     Anche se molto interessante, sarebbe troppo lungo elencare e dettagliare i compiti che il CICR era ed è chiamato a svolgere nei vari punti " caldi " della terra, dove guerre e conflitti sono calamità di ogni giorno. Va da sé che non tutti i sottoscrittori di quella Convenzione si attennero e si attengono a quei principi liberamente sanciti e sottoscritti, nel rispetto e nella eguaglianza reciproci.
    Scopo di queste pagine è di raccontare e documentare, per la prima volta,(2) come, alla fine dell'ultimo conflitto mondiale, decine di migliaia di soldati italiani furono tenuti in prigionia (solo nominalmente di guerra) nei campi di concentramento per i prigionieri di guerra (PWE) allestiti in Toscana dal Comando Alleato, in aggiunta a quelli che, durante il corso delle operazioni belliche, erano stati approntati per militari e civili nell'Italia centro-meridionale. In quei PWE, la Convenzione di Ginevra fu completamente e deliberatamente ignorata, e le ispezioni del CICR furono puramente simboliche, essendo state una sola per PWE nell'arco di sei mesi.
    Nei PWE in Toscana furono concentrati prigionieri militari tedeschi e italiani, appartenenti alle FF.AA. e ad altre formazioni militari della Repubblica Sociale Italiana (RS1).
    Ragazzetti, adulti, anziani, vecchi, giovani donne; generali e soldati; alpini, bersaglieri, fanti, marinai, aviatori, camicie nere; medaglie d'Oro, grandi invalidi, mutilati, reduci dalla Russia, dalla Grecia e dall'Africa settentrionale; partigiani che non avevano ottemperato all'ordine di deporre le armi; civili italiani, fascisti o ritenuti tali, e un numeroso contingente di reduci dai campi tedeschi di internamento militare che non avevano aderito alla RSI ma non erano stati creduti dagli Alleati.
    Ognuno di quei campi ebbe una storia a sé, che cercherò di ricostruire con i miei ricordi personali, le testimonianze di ex prigionieri e con documenti autentici in mio possesso, anche se, per difficoltà tecniche, per molti di essi non ne è stata possibile la riproduzione. Il 25 luglio 1945 tutti i prigionieri italiani concentrati nei vari PWE in Toscana erano già stati fatti affluire nel PWE 337, più conosciuto come "campo di Coltano ".
    La sua triste esistenza fu taciuta all'opinione pubblica fino a metà settembre del 1945, dopo che gli americani il 30 agosto avevano trasferito alle autorità italiane la giurisdizione su quel campo di prigionia.    
    Solo allora la stampa italiana si interessò di ciò che avveniva dietro quei reticolati in quella torrida pianura pisana, descrivendo la misera esistenza di migliaia di esseri umani, scalzi, nudi, laceri, malati e bisognosi di tutto, senza che nessuna autorità si decidesse ad addivenire ad una rapida soluzione del problema. Descrivere la disgraziata vita del PWE 337 è compito arduo nel timore di non essere creduto, ma più arduo è riuscire a convincere che ciò accadde davvero a prigionieri di guerra di un esercito ricco e vittorioso, e a conflitto oramai cessato.
    Agli americani seguirono gli italiani, che divennero così carcerieri dei padri dei fratelli o dei figli.
    I giornali si sbizzarrirono per una settimana a scrivere sulla drammatica vicenda di quei prigionieri, ma dei numerosi e misteriosi decessi per uccisioni, malattie e stenti nessuno scrisse una parola. Molti morirono nei " campi ", nel " lazaret ", altri nell'Ospedale da Campo n. 99 WQO6, o nel 65° di riserva per militari italiani. Anche al Sanatorio, all'Ospedale Militare di Livorno e al Manicomio di Volterra ci furono numerosi morti, ma i relativi documenti o non sono visibili o non esistono più.
    Nessuno, tranne gli archivisti USA, conoscerà mai il numero dei deceduti di Coltano. Mistero e silenzio anche sui luoghi dove venivano sepolte le salme.
    Del tutto fortunosamente, sono venuto a conoscenza che molte salme di militari italiani provenienti anche dal PWE 337 furono sepolte durante il 1945, insieme ad altre di deceduti tedeschi, nel Campo Sportivo del Comune di Castelfìorentino, trasformato dagli americani in Cimitero di Guerra. E certo che a distanza di cinquant'anni, sui decessi di Coltano, esiste ancora il " top secret ", e anche da parte delle autorità preposte non vengono fornite notizie precise.
    Tutto occultato, smarrito, distrutto!
    Scrive il signor Guidobaldo Angeletti, fratello di un deceduto a Coltano, al quale venne restituita la salma del congiunto Giampiero solo nel gennaio 1960:
    
    " A parte l'ottusa lentezza burocratica, si finisce per credere che un altro e oscuro disegno ha impedito in quindici anni di connivenza, servilismi, e occultamenti, che a tante famiglie venisse nascosta la verità sulla morte dei loro ragazzi, sui loro crudeli stenti, e di piangere sui loro resti. Si doveva evitare che si sapesse che nei campi di concentramento, allestiti dai cosiddetti "liberatori" il trattamento dei prigionieri di guerra era stato il medesimo, se non peggiore, di quello dei Lager militari nazisti. Soldati ed ufficiali, mutilati, ciechi e invalidi erano stati ammassati insieme, ed insieme sadicamente sottoposti a stenti per fame, percosse, umiliazioni e totale mancanza di assistenza medica e farmaceutica.
    Non si doveva sapere che in pochi mesi il numero dei morti era stato elevato, attribuendo disinvoltamente molti decessi a gravi malattie pregresse e poi facendo sparire non solo i loro effetti personali, ma anche gli elenchi dei nomi degli scomparsi e i luoghi delle loro sepolture".
    
      E quando quei resti mortali furono restituiti alle famiglie, ciò fu fatto alla chetichella, nel timore…, della vergogna.
    
    Dopo aver completato l'occupazione militare del Centro Italia, e in previsione dello sfondamento della Linea Gotica, al Quartier Generale Alleato si pose il problema di dove e come concentrare il grande numero di prigionieri che sarebbero stati catturati al momento della resa delle truppe germaniche e di quelle della RSI.
    Fino a quel momento, i prigionieri italo - tedeschi avevano trovato varie collocazioni, sia in territorio metropolitano che oltremare.
    Infatti, dopo brevi soste nei campi di smistamento di Taranto e di Afragola (Na) e di Avversa (NA), alcuni furono imbarcati e condotti nel PWE 211 in Algeria, mentre altri finirono disseminati nei numerosi " campi " negli Stati Uniti, dove subirono trattamenti diversi avendo scelto di collaborare o meno con il nemico. Per i civili italiani, uomini e donne, arrestati per aver appartenuto al Partito Nazionale Fascista (ex gerarchi, ufficiali in pensione, funzionari statali, o semplici simpatizzanti della RSI) furono allestiti concentramenti in edifici o baraccopoli a Terni, Afragola (Na), Padula (Sa), e in altre località dell'Italia centro-meridionale, sorvegliati da inglesi o americani.
    Il primo Campo di Concentramento per prigionieri di guerra in Toscana fu il PWE 334, sorto in baracche di legno e metallo a Scandicci (Fi), nel vasto perimetro della caserma del Rgt "Lupi di Toscana". Per il PWF 339 fu utilizzato l'ex campo per prigionieri alleati, in baracche e tende, sotto i pini della tenuta reale di San Rossore, I PWE 336, 337 e 338 furono impiantati ex novo, sempre nel comune di Pisa, su vaste aree della tenuta di Coltano di proprietà dell'Opera Nazionale Combattenti, mentre il PWE 335, in località Metato (Pi), fu quasi subito adibito a campo di punizione per militari americani.
    La sorveglianza, come per i centri di smistamento di Modena, Carpi, ecc., fu esclusivamente statunitense.
    Il comando generale dei campi, MTO – USA - Prisoner War, ebbe sede a Livorno.
 
 
NOTE:
 
    (1)Rapport du Comité lnternational de la Croix Rouge sur son activité I septembre 1939/40 - juin 1947), volume 2, l'Agence Centrale da Prisonniers de Guerre, Genève, mai 1948.
    (2)L'A., per la verità vi ha accennato brevemente in una sua precedente pubblicazione: “Siena fra la scure e la falce e martello(1926-1950)" Siena, ed. I mori 1991.
 
 
COLTANO 1945 - UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO DIMENTICATO Pietro Ciabattini. Prefazione di Franco Bandini. Edizioni Mursia. Milano1995.
 
    INDICE GENERALE
    Prefazione          pag. 5
    Premessa          pag. 17
    I. La geografia dei campi        pag. 23
     Il PWE 334 di Scandicci, 23; Le prigioniere, 38; Il PWE
     339 di San Rossore, 42; 1 PWE di Coltano, 44; Il PWE
     338. 48; Il PWE 336, 52.
    II. In viaggio per Coltano        pag. 55
    III. Il PWE 337         pag. 61
    I Lager o recinti, 62; i1 " lazaret", 64; I prigionieri, 65; La giornata del
    prigioniero, 67; Le gerarchie del Lager, 72; Le punizioni, 73; Le umiliazioni
    75; La natura ostile, 77; Le famiglie dei prigionieri, 78; Le malattie la follia,
    la morte, 81; Le evasioni 83; I1 trascorrere dei giorni 85; Il racconto di un
    prigioniero 86; La religione, 91; Gli americani se ne vanno, 93.
    IV. Arrivano gli italiani        pag. 95
    La polvere, 96; Gli internati, 98; Il morale, 103; Settembre nero, 104;
    Arrivano le Commissioni, 126; Interrogatori e assistenza, 129; La partenza
    per Laterina: addio PWE 337!, 137; Il campo di Laterina, 141.
    V. Il dopo          pag 149
     Interrogativi e indagini, 149; La Pontificia Commissione
     Assistenza, 151; I misteri e i ricordi, 153; La ricerca, 157;
     Il Ministero della Difesa, 159; L'ospedale psichiatrico di
     Volterra, 160; La Croce Rossa Italiana e il CICR, 160;
     L'ospedale militare e il Comune di Livorno, 163; Il caso
     Angeletti, 164; Il cimitero di Castelfiorentino, 166; La
     Commissione Generale Onoranze Caduti in Guerra, 169.
 
    Conclusioni           pag. 171
     Indice dei nomi          pag.177
 
 
dal libro COLTANO 1945 - UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO DIMENTICATO
Pietro Ciabattini. Prefazione di Franco Bandini. Edizioni Mursia. Milano1995. 

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